3 cose da imparare da donne del passato

Per la Giornata Internazionale della Donna sono stata lontana dal web e mi sono regalata un’esperienza tutta offline, tra le strade della mia città, Vicenza, in compagnia di WeTour, animato da due amiche in gambissima, che, tra le tante iniziative, hanno creato il tour “Donne di Vicenza”.

Diciamolo: dopo tanto Palladio e Scamozzi & co., ci voleva.

Con loro ho seguito il filo dei secoli e ascoltato la storia di 5 donne che a Vicenza sono nate o hanno trascorso gran parte della loro vita e, soprattutto, lasciato un messaggio importante attraverso scelte ardite e controcorrente.

 Nel post di oggi ve ne propongo 3. Mi sono divertita a tradurre la loro storia in ‘mantra’ che possiamo portare con noi nel XXI secolo e tenere a mente per le scelte di oggi.

 

C’è sempre una via. E quasi sempre è fuori dal coro

Quando ci mettiamo a scandagliare diverse soluzioni e ci sembra che nessuna vada bene, sta a noi aprire una nuova strada. 

Maddalena Campiglia è poetessa (XVI secolo), donna estremamente colta, appartiene a una famiglia dove i genitori provenivano da matrimoni precedenti ed erano entrambi vedovi.

 

Per di più, vivevano nel peccato, come si diceva: avevano avuto Maddalena da semplici conviventi e non si sposarono mai.

Il clima anti-convenzionale della famiglia ha sicuramente influenzato le scelte di Maddalena che, tra le due strade obbligate aut maritus, aut murus ( sposarsi oppure andare in convento), prese una terza, cioè quella della donna libera, che si dedica alle proprie arti, in totale castità.

A lei viene attribuita l’affermazione, a quei tempi decisamente rivoluzionaria:

“La verginità scelta per una donna è l’unica via per l’emancipazione”.

Il suo matrimonio, che durò solo quattro anni, fu annullato perché mai consumato. L’annullamento la lasciò libera da qualsiasi obbligo coniugale e sociale e le permise di proseguire la sua vera passione: lo studio, la cultura, la poesia. E le amicizie femminili.

 

Se la salita si fa dura, scegliti le persone giuste

Il carattere e la forza interiore di sicuro aiutano, ma per fortuna non siamo soli: le persone attorno ci possono dare una grande mano.

In tutte le descrizioni di Elisabetta Caminer ricorrono spesso gli stessi aggettivi: carattere indomito, grande ingegno e cocciutaggine.

Elisabetta nasce e lavora a Venezia, il padre è giornalista e collabora con testate d’oltralpe.

Carta, inchiostro, libri e lo studio delle lingue straniere la lanciano presto in una carriera che corre parallela a quella del padre. Comincia a scrivere anche lei e traduce tutte le notizie che arrivano dalla Francia.

La sua mente energica e aperta fa breccia nel cuore di un vicentino, Antonio Turra, medico, naturalista, scienziato di fama internazionale, che la sostiene in tutte le sue iniziative imprenditoriali e culturali, grazie alle quali Elisabetta riscatta una figura femminile che voleva la donna ‘sorridere agli ospiti e servire il caffè’, ritagliandosi il ruolo di vera protagonista del suo salotto culturale assieme alle migliori menti d’Europa.

Nel clima bigotto della piccola città di provincia dove si trasferisce dopo il matrimonio, riesce anche a portare avanti il lavoro nella redazione del Giornale Enciclopedico e a fondarne uno nuovo, dopo che la censura aveva criticato le sue idee troppo avanguardistiche.

 

Se ti criticano, hai un motivo in più per andare avanti

Più facile a dirsi che a farsi, soprattutto quando oggi chi ti dà contro, può agire alla velocità di un click. Ma ora abbiamo le storie di Maddalena, Elisabetta e qui sotto, di Fiorenza per trovare la forza di rimanere a testa alta.

Fiorenza Vendramin è anche lei veneziana, trasferitasi a Vicenza perché si sposa con il marchese Luigi Sale. E’ un matrimonio concordato che, come si usava all’epoca, deve accontentare gli interessi di varie persone, tranne quelli degli sposi, che subiscono semplicemente gli accordi delle due parti.

Fiorenza, come Elisabetta, risente del cambiamento di città: abituata allo spirito libero, aperto e vivace di Venezia, soffre il clima chiuso e bigotto di Vicenza.

In più, come nelle peggiori barzellette, la suocera non le rende la vita semplice. Fiorenza, che con la nascita della prima figlia, non esaudisce il desiderio della famiglia di avere un maschio, si attira le maldicenze di parenti e addirittura servitori.

“E’ a causa dei divieti che il mio animo prende slancio”

Fiorenza non si perde d’animo, sfrutta tutti i privilegi della sua posizione sociale – il matrimonio non è certo felice, ma nel frattempo è comunque diventata marchesa – e si lancia in una rutilante vita sociale, intrecciando diverse relazioni extra-coniugali, che non si cura di nascondere.

Con l’arrivo dei soldati francesi in Italia, si innamora perdutamente di un capitano, che però preferisce la campagna napoleonica e la abbandona.

La storia non finisce bene, ma mi piace immaginare questa donna dalle eleganti vesti fruscianti girare le spalle a suocera e critici per prendersi, incurante, il bello della vita che sentiva di meritare.

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